Isola di Capo Rizzuto piange Filippo: l’appello dell’arcivescovo Torriani contro la cultura della violenza
Dopo la morte del ventiduenne, il vescovo di Crotone invita la comunità a non cedere alla rassegnazione: “Costruiamo fraternità, non muri”

Il dramma della morte di Filippo Verterame, 22 anni, rimasto vittima di una rissa a Le Cannella di Isola Capo Rizzuto e spentosi dopo alcuni giorni di ricovero all’ospedale di Catanzaro, scuote l’intera diocesi. A farsi voce del dolore e della riflessione è l’arcivescovo di Crotone-Santa Severina, mons. Alberto Torriani, che in una lettera al parroco della comunità, pubblicata dall'Avvenire di Calabria, ha espresso vicinanza alla famiglia, agli amici e a tutta la cittadinanza.
“Il nostro primo sentimento – scrive – è quello della preghiera e dell’affetto. Vogliamo accompagnare questo giovane nel suo incontro con il Signore della vita e sostenere la sua famiglia, che nel dolore ha avuto la forza di donare gli organi del figlio, trasformando una tragedia in speranza per altri”.
Un gesto che, per il presule, diventa simbolo di luce: “Un atto d’amore che ci interroga e ci invita a non cedere alla cultura della sopraffazione”.
«Non abituarsi alla violenza»
Mons. Torriani lancia un forte monito: “Non lasciamo che la violenza diventi il linguaggio dei nostri ragazzi. Non sia la logica del più forte a scrivere la loro storia. Dobbiamo coltivare parole e gesti di pace, rispetto, solidarietà, amicizia vera”.
L’arcivescovo invita gli adulti a diventare “artigiani di fraternità” e “passatori di vita”, testimoni capaci di mostrare ai giovani percorsi alternativi alla rabbia e all’odio. “La violenza – aggiunge – non è forza, ma debolezza. È la scelta di chi non sa dialogare e ricorre alle mani perché non ha parole. A questa codardia dobbiamo rispondere con il coraggio della fraternità e della vita: non pugni chiusi, ma mani tese; non odio, ma amore”.
«L’ora dell’amore è anche responsabilità»
Richiamando le parole di papa Leone XIV – “Questa è l’ora dell’amore” – mons. Torriani sottolinea che la vera pace non si costruisce solo nelle grandi invocazioni, ma nella quotidianità: “Se non impariamo a viverla nelle nostre famiglie, nei quartieri, nelle relazioni, non possiamo sperare in un mondo diverso”.
Infine l’appello alla comunità: “Non lasciamo che la morte di Filippo resti una notizia destinata a svanire. Questo dolore deve diventare un segno che ci cambia, un impegno che ci rinnova, un cammino di responsabilità condivisa. A noi adulti è chiesto di educare, accompagnare e custodire i giovani, perché diventino costruttori di pace e non prigionieri dell’odio”.